[Case]
Quando gli opposti si attraggono
In Bielorussia una casa di campagna moderna e accogliente
Uno scorcio dello studio londinese di John Pawson. Uno spazio su due livelli, dai tagli netti, inondato di bianco.
A sinistra, l’open space dove lavorano, con competenze diverse, venticinque collaboratori. A destra, la porta a vetri di accesso allo studio dalla strada. Nella zona di King Cross, è situato in prossimità della sede del quotidiano The Guardian.
A sinistra, l’area riservata alla documentazione con librerie che ospitano volumi e riviste d’architettura e design. Sulla destra, in fondo, si intravede il pannello con la linea del tempo che ripercorre, con fotografie e didascalie, i sessantun’anni di vita e pratica progettuale di John Pawson. A destra, la scala di collegamento, tra il piano a livello strada e il -1, è scavata come una fenditura netta tra le pareti. Un tratto distintivo dei progetti di Pawson dove il rapporto tra spazio e luce è oggetto di una ricerca attenta.
Un ritratto dell'architetto John Pawson.
Un interno della casa di vacanza di Fabien Baron a Skåne in Svezia.
L'imbarcazione Sloop-B60.
A sinistra, Schrager Penthouse a New York. A destra, la copertina della monografia John Pawson Plain Space di Alison Morris (Phaidon Press, E 75, www.phaidon.com).
Il monastero cistercense di Our Lady of Nový Dvur in Boemia. Una veduta del chiostro.
Il modello per l’allestimento della mostra John Pawson Plain Space all’ultimo piano del Design Museum di Londra. Al centro, l’installazione site-specific di una stanza 1:1 dove i visitatori possono sperimentare il senso dello spazio.
A tu per tu con l’architetto britannico, considerato il padre del minimalismo. Occasione: la personale al Design Museum di Londra e la monografia Plain Space.
Londra, ore 10 del mattino. Entriamo in punta di piedi nello studio di John Pawson immaginando un ordine perfetto e un’atmosfera rarefatta alla Plain Space, dal titolo della retrospettiva e del volume fresco di stampa. In realtà, i due piani sono occupati da collaboratori e postazioni che non disdegnano post-it, modellini in legno, carte e giornali. L’architetto in total white è però perfettamente in sintonia con lo spazio.
La personale al Design Museum di Londra e la monografia di Alison Morris ripercorrono la tua carriera: perché adesso?
Bella domanda. Tutta la mia vita è stata all’insegna del caso e della fortuna. Ho seguito la corrente, senza fare piani. L’idea della mostra è nata due anni fa, ma ho dovuto aspettare il mio turno, dopo Richard Rogers, Zaha Hadid e David Chipperfield. Dieci anni fa una personale sarebbe stata perfetta: l’unico motivo per cui a un certo punto della propria carriera si fa una mostra è per marketing (sorride). Oggi è un modo per padroneggiare e capire il mio lavoro. Per restituire agli altri qualcosa. Eper far capire al visitatore l’architettura. Il libro non è marketing: è un rivedersi.
Com’è concepita Plain Space?
Invece di una retrospettiva - non mi piace chiamarla così - va vissuta come una prospettiva. Racconta cosa c’è dietro lo studio. Vuole comunicare l’esperienza dell’architetto in una promenade dove l’architettura è narrata da immagini fotografiche oversize e da grandi campioni dei materiali usati. Come si arriva da un foglio bianco all’opera compiuta. È il caso del monastero di Our Lady of Nový Dvur, di cui rintracciamo l’intero iter, fin dalle prime lettere scambiate con i monaci. Su una parete, una linea del tempo racconta la mia vita e i miei progetti. Imiei primi 30 anni, il matrimonio, la nascita dei figli, e i 30 anni da architetto, dalle commissioni per Hester van Royen e per Bruce Chatwin. Erisulta evidente che quando si è giovani e pieni di energie, il lavoro scarseggia, mentre la situazione si capovolge quando si è più vecchi. Più lavoro e meno energie. Di fatto la vita professionale di un architetto inizia a 50 anni, l’inverso di un matematico, di un compositore, di un calciatore.
Qual è lo scopo della stanza vuota che presenti in mostra?
Vuole offrire al visitatore l’esperienza fisica dello spazio. All’interno, solo una panca di legno dove sedersi e la luce che crea l’atmosfera.
Le tue architetture sono progettate con una semplicità estrema e un profondo senso di poesia. Da padre del minimalismo (sorride, “Qualcuno per errore ha scritto il Papa... un po’ imbarazzante. Altri il nonno... non esattamente un complimento) come lo consideri oggi? Una necessità in un mondo invaso da cose e oggetti?
Mi piace avere tutto in ordine, organizzato perché riesco a concentrarmi meglio. Mi piace la perfezione. Forse ho raggiunto solo un’imperfetta perfezione. Per rispondere alla tua domanda: se hai meno a disposizione (anche lo spazio), fai lo sforzo di ottenere il massimo. È un esercizio.
Lavori per due mondi totalmente opposti: il sacro, con il monastero in Boemia, e il profano, con i negozi-moda di Calvin Klein. Come concili il jet lag?
So che la gente pensa ci sia una contraddizione. Ma il mio lavoro è l’architettura, mi occupo di luce, scala e proporzione. Calvin Klein mi aveva chiesto di incontrarlo per progettare i suoi store nella direzione di un lusso moderno. Imonaci hanno visto le foto dei negozi e mi hanno chiamato. Avevano le stesse richieste: un’architettura dove vivere una vita fatta di gesti quotidiani. Unica eccezione la chiesa, dove ottenere un’atmosfera raccolta.
Hai work in progress una casa a Treviso progettata secondo criteri di sostenibiltà. Qual è il tuo approccio al green building?
Ho in corso anche un altro progetto sulla costa dello Yorkshire. 200 mq contro i 500 di Treviso. Credo che la sostenibiltà sia ormai la norma. Da materiali interamente riciclabili a edifici il più possibile autosufficienti.
La tua casa di Nottingh Hill è la tua casa ideale?
È un prototipo vivente. Povera, mia moglie! (esclama, al ricordo. Le ha negato anche il divano) Non è grande, ha una dimensione urbana ma con uno spazio verde all’aperto. Come altri casi, ho costruito l’architettura intorno alle persone: una casa è come si vive.
Come pensi sarà la casa del futuro?
Non credo possiamo immaginarcela ora. È incredibile quanto sia cambiata nel giro di pochi decenni. Gli spazi sono più fluidi, con laptop e cellulari si può lavorare e connettersi ovunque, colonizzando le stanze. Come facevano i miei figli da piccoli, con i loro giochi e oggetti. L’importante è imparare a riusare il già costruito, senza continuare a costruire ex novo. John Pawson ci saluta: al momento, nonostante 27 lavori work in progress, il suo progetto più importante è allenarsi per i 300 km in bicicletta insieme alla moglie e altri 88 ciclisti. Da Londra a Bruxelles: una tregiorni nata per raccogliere fondi per la Juvenile Diabetes Research Foundation.
Info: Design Museum, Londra, fino al 30/1/2011, designmuseum.org. Per commenti in diretta: www.plainspace.co.uk
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