Quanto c'è di una casa in uno yacht? All'aumentare delle dimensioni di una barca gli interni sono sempre più assimilabili a quelli degli ambienti domestici che ci circondano nel quotidiano, soprattutto se si parla di barche a motore. C'è però sempre da tenere presente che una barca è una barca e non è una casa. Seppur oggi questi due campi sono molto vicini, esistono delle differenze basilari nella progettazione degli interni di uno yacht e di una casa. Può sembrar banale, ma non lo è affatto, tener presente che mentre i primi si muovono, i secondi no e questo concetto, seppur semplice, comporta che la barca necessita di una serie di accorgimenti per la sicurezza in più della casa che si rispecchia anche nell'estetica degli interni. A terra, inoltre, esistono quasi sempre degli elementi di riferimento, quali l'ortogonalità dei muri e la scatolarità dei volumi che da soli definiscono la condizione dell'abitabilità. La barca, invece, non ha punti di riferimento al suo interno; lo scafo è, per ovvie ragioni idrodinamiche, curvo.

Ciò nonostante l'interior yacht design delle barche a motore ha da sempre intrecciato la sua storia con l'evoluzione degli interni delle abitazioni: i due mondi si sono influenzati l'un l'altro traendo forza a vicenda.
All'origine degli interni di questa tipologia di barca il massimo della qualità progettuale era quello di ricreare un ambiente familiare, domestico e si cercava di emulare gli interni stanziali del passato, quasi a voler cercare riferimenti sicuri nelle radici storiche. Difficilmente si riscontrava la sensazione di sentirsi in barca e, forse, questo era proprio l'intento, dati i continui rimandi agli interni domestici, poco celati anzi addirittura alcune volte messi ben in evidenzia, come nel caso dei lampadari o dei camini.
Dagli anni Sessanta, a poco a poco, all'imitazione dello stile terrestre si sostituisce una più consapevole linea propriamente nautica, marinara: l'estetica del mogano laccato per gli arredi e le paratie, il bianco dei cielini, i tessuti a strisce bianche e blu, le brillanti maniglie d'ottone identificheranno lo stile Old Navy che ha governato per decenni gli interni e gli esterni degli yacht.

Dai primi anni del Duemila si parla di vera e propria rivoluzione dell'interior yacht design: vengono fatte diverse sperimentazioni per svecchiare il linguaggio nautico, grazie ad un'estetica molto più vicina all'ambiente domestico contemporaneo.
Nell'ultimo periodo il campo dell'interior yacht design e dell'interior design si sono avvicinati sempre di più. Da casi sporadici di contaminazioni tra la casa e la barca, oggi alcuni cantieri ne hanno fatto la loro strategia di mercato e sempre più progettisti provenienti da altri campi sono stati coinvolti nella progettazione nautica. Rinomati architetti, archistar e stilisti di moda hanno mostrato l'oggetto barca con una veste nuova e unica, presentando nuovi linguaggi. Più che mai questo tema è attualmente al centro del dibattito culturale, come ha dimostrato la "2nd Italian Yacht Design Conference" tenuta al Politecnico di Milano pochi giorni fa, il cui argomento principale era proprio "Contaminazioni: il confine casa-barca".

Ma quali sono gli yacht di lusso che, più di ogni altro, hanno mostrato un nuovo linguaggio negli interni?

Varato nel 2003 e considerato lo spartiacque della progettazione nautica a motore nel passaggio tra il secondo e il terzo millennio, il 118 WallyPower è un concentrato di innovazione in termini di tecnologia e design, non a caso battezzato Renovatio nel film The Island di Michael Bay. Il progetto, a cura di Wally con Lazzarini Pickering Architetti, è incentrato sulla trasformabilità delle strutture che governa la multifunzionalità degli spazi. Nella parte sopraelevata destinata al pranzo della zona living (foto sotto), ad esempio, il tavolo in carbonio appare e scompare a seconda delle necessità (in maniera del tutto inusuale per il mondo nautico) rimanendo aperto mentre la barca è ferma e incassato a sparizione durante la navigazione veloce.

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Industrial & Corporate Profiles

Sempre del 2003 è il Sai Ram, un 52 metri dei cantieri Benetti Yachts, il cui exterior design porta la firma di Stefano Natucci mentre gli interni sono di Lazzarini Pickering Architetti. A differenza di quanto si fa normalmente sugli yacht, gli architetti hanno lavorato soprattutto sugli assi verticali più che su quelli orizzontali, creando una percezione che esalta le altezze. Come in una vera e propria promenade architecturale, una banda d'acciaio ricoperta di cuoio rosso lega concettualmente in uno spazio fluido i diversi ambienti. Il Sai Ram raramente riproduce simmetrie negli interni (come avviene di solito in una barca) e gli ambienti si compenetrano tra loro più che susseguirsi l'uno all'altro, generando una sensazione di spazi dentro altri spazi (foto sotto).

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Matteo Piazza

Nina J è un superyacht del 2005 dei cantieri Baglietto, i cui esterni sono stati progettati da Tommaso Spadolini mentre gli interni da Ivana Porfiri. Dal mondo stanziale sono stati trasferiti oggetti e materiali, come - in via del tutto eccezionale - l'intonaco di marmorino per le pareti o il giardino verticale (foto sotto), mai visto fino a quel momento su una barca. Il Nina J è un progetto originale, uno dei primi casi dove si presta attenzione anche in barca alle prestazioni cosiddette "soft" dei materiali: tutto è improntato all'idea di sensorialità, dove la naturalità delle materie utilizzate invita all'esperire tattile, visivo e olfattivo.

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Nel 2010 SL 106 dei cantieri Sanlorenzo ha rappresentato un nuovo punto di contatto tra il mondo della nautica e quello del'architettura attraverso il coinvolgimento di Dordoni Architetti. L’innesto di competenze provenienti da un campo diverso ha dato come risultato un’idea di spazialità continua, fluida, cha cambia totalmente la concezione della compartimentazione rigida degli spazi. Passando attraverso una serie di diaframmi lo sguardo coglie l’intera dimensione dello scafo, sia lungo l’asse longitudinale sia in larghezza. I rimandi spaziali e visivi conducono lo sguardo degli ospiti da poppa a prua (foto sotto), attraverso un controllo architettonico armonioso grazie ad una serie di passaggi graduali che rafforzano la sensazione di accoglienza.

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L'arch. Michela Reverberi ha progettato nel 2012 gli interni di Stella Maris (foto sotto), un megayacht di 72 m dei cantieri VSY. Il progetto ha esaltato la verticalità dello spazio, la potenza della luce, l’inusuale rapporto tra vuoto e pieno, reinterpretando le diversità e le caratteristiche originali dell’imbarcazione, ponendo ogni elemento in connessione attraverso una riscrittura delle regole che governavano la suddivisione degli spazi, il rapporto luce/ ombra, vuoto/pieno. I saloni hanno così assunto un’altezza eccezionale per una barca di quelle dimensioni, rivoluzionando le proporzioni alle quali eravamo abituati. Le incredibili dimensioni delle vetrate e la quantità di luce naturale disponibile hanno spinto ad una grande ricerca sull’illuminazione artificiale da adottare. Con Stella Maris, inoltre, è stato sdoganato il verde, colore delle alghe e da sempre evitato perché associato alla nausea, mentre il suo impiego a bordo ha mostrato il suo grande potenziale di creare piacevoli ed inedite atmosfere.

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Beppe Raso
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Massimo Listri