Il progetto Island di Caruso St John Architects in collaborazione con l'artista Marcus Taylor è stato scelto dal British Council per il Padiglione Inglese alla prossima edizione della Biennale di Venezia.

Un progetto scelto perché risponde al tema Freespace scelto dalle curatrici Yvonne Farrell e Shelley McNamara per la Biennale di Venezia 2018.

In pratica l'idea prevede la costruzione di un nuovo spazio pubblico sul tetto del Padiglione Britannico con lo scopo di creare una piazza sopraelevata che offrirà ai visitatori un luogo di incontro e un punto di osservazione unico con spettacolare affaccio sulla Laguna.

Al centro del Padiglione Inglese alla Biennale Architettura 2018 una sorta di torre che sporge dal pavimento, suggerendo sia l’idea di un'isola che quella di un mondo sommerso, che si animerà attraverso una serie di eventi che comprendono poesie, performance, film e dibattiti.

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Lucia Sceranková​
British Pavilion Curators 2018, Marcus Taylor, Adam Caruso, Pater St John and Marcus Taylor © British Council.

Sono gli stessi Adam Caruso, Peter St John e Marcus Taylor che raccontano i molti modi per interpretare il British Pavilion della Biennale 2018.

Un'isola può essere infatti vissuta come un luogo di rifugio ma anche di esilio. Lo stato dell'edificio, che sarà completamente coperto con impalcature per supportare la nuova piattaforma sovrastante, suggerisce molti temi; compreso quelli dell'abbandono, della ricostruzione, del santuario, fino a quello del Brexit, dell’isolamento, del colonialismo e del cambiamento climatico.

Sarah Mann, direttrice di Architecture Design Fashion al British Council e Committente del British Pavilion 2018, aggiunge che Island offrirà un'esperienza stimolante all'interno della Biennale 2018, continuando la tradizione che vuole il ruolo del Padiglione come quello di una piattaforma per il dibattito, per lo scambio di idee e per il pensiero visionario.

D’altro canto questa è prima volta in assoluto che è prevista una commissione congiunta tra arte e architettura col fine non solo di presentare una mostra, ma anche quella di offrire un'esperienza senza mediazioni.

D’altro canto il British Council è responsabile dal 1937 per il Padiglione Inglese a Venezia selezionando e mostrando sempre il meglio degli artisti, architetti e designer del Regno Unito ad un pubblico internazionale.

Per questa edizione è stato poi scelto lo Studio John Morgan per creare l'identità grafica di Island. Il suo libro di accompagnamento, pubblicato da The Store X The Spaces, insieme al programma di eventi e alla Fellowship di Venezia, svolge un ruolo cruciale nel rendere il Padiglione Britannico una piattaforma di discussione sull'arte e l'architettura contemporanee.

Ma chiediamo direttamente a Adam Caruso, Peter St John, Marcus Taylor e al team curatoriale, qual è il concetto alla base del titolo Island?

Il titolo si riferisce a molte cose, innanzi tutto alla Tempesta di Shakespeare, dove i protagonisti sono naufragati e si salvano arrivando sulla spiaggia di un'isola sconosciuta, che si rivela essere una sorta di paradiso. Quindi si tratta di essere salvati e persi allo stesso tempo. Island riflette anche su Venezia, e al suo rapporto precario con il mare.

E poi, naturalmente, il Padiglione Britannico, fa pensare anche alla Brexit e all'attuale rinegoziazione, con tutte le sue domande e incertezze. Infine, si riferisce allo spazio che stiamo costruendo sul tetto del padiglione, una specie di zattera che avrà la sua indipendenza con una splendida vista sulla laguna.

Il Padiglione Britannico è, in un certo senso, già un po 'distaccato, nella sua posizione rialzata, su una collinetta che è in realtà il più alto pezzo di terra naturale a Venezia. Il design accentuerà anche questo.

C’è stata l’intenzione di trasformare l'edificio in un generoso spazio pubblico. Perchè?

Nelle scorse biennali di architettura, il padiglione ha tenuto mostre su temi architettonici. Qui abbiamo adottato un approccio diverso questo per segnare un vero cambiamento. Non ci saranno mostre; ma piuttosto una costruzione che può essere vissuta come un edificio. La sua natura pubblica è molto importante, perchè permette di vagabondare, incontrare persone e partecipare o meno. Ci sarà un programma di eventi e spettacoli ma anche, come ogni spazio pubblico, resterà l’incognita su come verrà usato.

Quando si è descritto il concetto alla base del padiglione si è fatto riferimento ai cambiamenti climatici, al colonialismo, alla Brexit, all’ isolamento e alla ricostruzione ma come saranno tradotti questi temi nel progetto concreto?

Il progetto ha diverse dimensioni; la costruzione di spazi che si possono visitare, le discussioni e le mostre che vi si svolgerann, le pubblicazioni e le immagini che verteranno su di lui: i temi saranno infatti esposti proprio attraverso tutte queste diverse espressioni. Noi speriamo che anche le persone che non potranno visitarlo ma che lo vedranno solo nei media avranno modo di poterne discutere e farsene un’idea.

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courtesy photo
The Tempest, Act II Scene 2, Caliban, Stephano and Trinculo dance on the seashore. Artist: Johann Heinrich Ramberg.

Qual è il significato dei tuoi riferimenti alla Tempesta di Shakespeare e alla giovane artista britannica Kate Tempest?

Ci sono aspetti della tristezza, della contemplazione, persino della disperazione nei temi di questo progetto, ma anche di poesia e celebrazione. Il padiglione sarà un punto di incontro in cui possono accadere molte cose diverse. Speriamo che diventi un luogo antico e moderno, locale, nazionale e internazionale. Ci sarà una rappresentazione della Tempesta sulla piattaforma panoramica e anche Kate Tempest eseguirà lì una performance.