Venezia: è Freespace il tema della 16. Mostra Internazionale di Architettura, curata dal duo irlandese Yvonne Farrell e Shelley McNamara che con il loro personale inno alla libertà – e al dinamismo - hanno tracciato, durante la conferenza stampa ospitata ieri a Ca’ Giustinian, le linee generali della prossima edizione della Biennale in calendario ai Giardini e all’Arsenale dal 26 maggio al 25 novembre 2018.

Dunque quasi con un anno di anticipo, e a neanche cinque mesi dalla nomina, le due curatrici fondatrici dello studio Grafton Architects, famose in Italia per aver progettato la sede dell’Università Bocconi a Milano, hanno annunciato ufficialmente, senza scendere nei dettagli di quella che si preannuncia ancora una volta un’edizione militante, la direzione che prenderà la kermesse lanciando la palla ai protagonisti della mostra e a chi si occuperà dei padiglioni nazionali.

Le due progettiste, che alla Biennale Architettura di Venezia sono di casa per aver partecipato a tre edizioni vincendo nel 2012 il Leone d’argento nell’ambito della mostra Common Ground curata dall’architetto inglese David Chipperfield, sono state introdotte dal presidente Paolo Baratta che ha ricordato come nelle ultime edizioni della manifestazione il divario tra architettura e società civile sia stato una specie di filo rosso, anzi quasi un’ossessione.

Da questo tema, cavallo di battaglia del precedente curatore Alejandro Aravena, probabilmente Farrell e McNamara non si distaccheranno troppo ma lo renderanno proprio attraverso il ricorso – che poi è un invito – a una parola chiave che è generosità, una qualità troppo spesso dimenticata, capace di riconoscere a chiunque il diritto di beneficiare dell’architettura. Riflessione non di poco conto in un epoca in cui si pronunciano - e dunque ascoltano – proclami che incitano alla difesa dei confini e all’innalzamento dei muri.

Motivo di ispirazione, per il duo basato a Dublino nel paese dove il verde delle valli sfuma nel blu del mare , sono i doni gratuiti della natura come quelli della luce del sole, dell’aria o della forza di gravità. Se è così perché non considerare l’architettura come qualcosa capace di provvedere al benessere e alla dignità degli abitanti di questo fragile pianeta che è la terra?

Non sono mancate nella presentazione gli esempi, le citazioni poetiche ed eleganti di progetti che rappresentano casi emblematici di come l’architettura possa essere accogliente, confortevole, umana enfatizzando il proprio ruolo nella coreograia della vita quotidiana. Tra questi: la seduta di cemento coperta di piastrelle progettata da Jørn Utzon per l’entrata del Can Los a Maiorca; l’ingresso del civico 24 dell’edificio realizzato da Angelo Mangiarotti in via Quadronno a Milano; il belvedere del museo di arte moderna a San Paolo di Lina Bo Bardi.

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Alessandro Valenti

Romano, architetto, master a Barcellona e Phd in Italia, è direttore di elledecor.it e professore di Architettura degli Interni presso l’Università di Genova. Autore di libri quali “Case disperatamente contemporanee”, “Patricia Urquiola. Time to make a book” e “Nuovi paesaggi domestici. L’abitare ai tempi del Coronavirus rappresentato in 3 atti e 3 epiloghi”, è altresì guest professor presso l’Università BUCT di Beijing.