La Biennale di Venezia 2017 Viva Arte Viva, curata da Christine Macel, non è una mostra unica enciclopedica: tra il Padiglione Centrale dei Giardini della Biennale e l’Arsenale veneziano è inscritta una lunga narrazione che attraversa l’arte declinata in tutte le sue varianti. Prima di svelarvi quindi durante questa Biennale Venezia cosa vedere all'Arsenale, dedichiamo un momento a spiegare come è stata concepita la Biennale Arte 2017.

Macel ha infatti suddiviso l’intera esposizione internazionale in nove trans-padiglioni – due nel Padiglione Centrale e sette nell’Arsenale – che non sono interrotti da alcun muro o da un cambio di registro, perché il percorso vuole aprirsi al pubblico in un crescendo di suggestioni ed emozioni tra colori, installazioni, video, maxi-sculture, performance, materiali innovativi: il messaggio di Macel augura lunga vita ad un’arte che può essere compresa solo attraverso la vita degli artisti stessi.

Ecco cosa non dovete perdere durante questa Biennale Arte Venezia nel vostro cammino all’interno dell’Arsenale, dalle Corderie fino alla pace lagunare del Giardino delle Vergini.

Padiglione dello Spazio Comune

Nel primo padiglione dell’Arsenale, dedicato all’esperienza della comunità e al ruolo di una coscienza collettiva, ad accogliere i visitatori c’è l’installazione Zero to Infinity in Venice dell’artista pakistano Rasheed Araeen: cubi lignei in wireframe dai colori fluo possono essere liberamente spostati per configurare spazi e architetture sempre diverse: un’azione contro la simmetria e il minimalismo formale.

Rasheed Araeen,Zero to Infinity in Venice, 2016-17pinterest
@Italo Rondinella​​
Rasheed Araeen,Zero to Infinity in Venice, 2016-17

Anna Halprin, splendida novantaseienne, invita a partecipare alla sua danza circolare universale: Planetary Dance è un gesto, un movimento comune che esprime un’intenzione di pace e gioia per il mondo intero. Il tedesco Franz Erhard Walther - Leone d’oro per il migliore artista della mostra Viva Arte Viva - porta in mostra tre maxi opere realizzate in legno e cotone tra il 1983 e il 1986: grandi volumi architettonici dai colori accesi invitano il visitatore ad entrare in essi, ad avvolgersi e ad immaginare possibili usi e funzioni, per l’artista premiato è proprio il corpo a completare l’opera.

Franz Erhard Walther,Various works, 1975-1986, foto di Andrea Avezzùpinterest
@Andrea Avezzù​​
Franz Erhard Walther,Various works, 1975-1986

Padiglione della Terra

Nel Padiglione della Terra, che approfondisce i temi dell’ambiente e dell’ecologia, la video installazione The Tyranny of Consciousness di Charles Atlas - menzione speciale della giuria - rappresenta in simultanea la visione di quarantaquattro tramonti scanditi da un grande orologio digitale in un countdown di diciotto minuti: all’ora zero, nell’oscurità della sala, compare sui video Lady Bunny, una famosa drag queen di New York, che intonerà una canzone di disco music: la colonna sonora della fine del mondo.

Charles Atlas,The Tyranny of Consciousness, 2017, foto di Andrea Avezzùpinterest
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Charles Atlas,The Tyranny of Consciousness, 2017

L’albanese Petrit Halilaj - menzione speciale della giuria - con Do you realise there is a rainbow even if it’s night!?popola le Corderie con sculture realizzate in tappeti e tessuti della tradizione balcanica che riproducono giganti falene. L’insetto notturno è il simbolo del cambiamento, della rivelazione della propria identità ed insieme la dichiarazione d’amore alla patria.

Petrit Halilaj, Do you realise there is a rainbow even if it’s night?, 2017pinterest
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Petrit Halilaj, Do you realise there is a rainbow even if it’s night?, 2017

Padiglione delle Tradizioni

Il Padiglione delle Tradizioni raccoglie artisti che dedicano la loro arte al mantenimento e all’aggiornamento dei saperi artigiani. Ne sono un esempio i tappeti dell’artista spagnola Teresa Lanceta che reinterpreta il ricamo marocchino realizzando superfici di tessuto di lana e cotone impreziositi da trame coloratissime e figure geometriche: la tessitura, frutto di un lavoro collettivo, è la traduzione materica e palpabile di una memoria ancestrale.

Teresa Lanceta, Various works, 1999-2016pinterest
@Italo Rondinella​​
Teresa Lanceta, Various works, 1999-2016

Il tessuto, vero protagonista di questa Biennale Arte, è il materiale prediletto anche da Francis Upritchard che riveste le sue sculture di capi etnici di squisita fattura e taglio impeccabile: monaci islamici, attori del teatro Kabuki, arlecchini, guerrieri maori, indiani d’America. La collezione antropologica di Upritchard evidenzia come l’atto della collezione significhi, nella realtà, la paura di essere dimenticati in un mondo globalizzato che inghiotte le antiche culture.

Francin Upritchard, Various works, 2016- 2017pinterest
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Francin Upritchard, Various works, 2016- 2017

Padiglione degli Sciamani

Il Padiglione degli Sciamani, come quello successivo dedicato al dionisiaco, è permeato dalla magia e dal potere spirituale e catartico dell’arte. L’installazione Um Sagrado Lugar (A Sacred Place) del brasiliano Ernesto Neto è una grandiosa tenda sospesa dalla trama organica intessuta in voile di cotone tinto con colori naturali e lavorata all’uncinetto che riempie l’intera sala delle Corderie. L’opera è un momento di socializzazione dove i visitatori sono invitati ad entrare per conoscere i rituali degli indios Huni Kuin originari della Foresta Amazzonica. Il recupero della coscienza indigena e della transmistica espressa dalle cerimonie sacre di guarigione diventa la cura contro le patologie della società contemporanea.

Ernesto Neto, Um Sagrado Lugar (A Sacred Place), 2017pinterest
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Ernesto Neto, Um Sagrado Lugar (A Sacred Place), 2017

Padiglione Dionisiaco

La dimensione ultraterrena è evocata nel Padiglione Dionisiaco dove si mescolano elegantemente sacro e profano in una serie di opere che indagano la provocazione erotica e la blasfemia dell’arte. Se Pauline Curnier Cardin fa di Bernadette non proprio una santa nell’esilarante video-installazione Grotta Profunda, Approfundita, Mariechen Danzcostruisce un ambiente disturbante dove l’essenza dionisiaca della smembramento del corpo - come ci racconta il mito tragico del dio greco - diventa momento di riflessione universale sull’eterno mutamento della natura e della geografia, sulla caducità delle cose e sull’infinita espressione dei linguaggi. C’è invece molto ironia nel lavoro di Huguette Caland che realizza abiti femminili con uno stile poetico e giocoso con sagaci allusioni sessuali.

Mariechen Danz, Various works, 2011-2017pinterest
@Andrea Avezzù​​
Mariechen Danz, Various works, 2011-2017

Padiglione dei Colori

Il Padiglione dei Colori è stato concepito da Christine Macel come la sintesi di tutti i padiglioni precedenti, prima dell’ultimo capitolo. Il Padiglione dei Colori diventa quindi un esplosione di luce, o meglio un ‘fuoco d’artificio', come lo ha descritto la stessa Macel; domina la scena la maxi scultura in fibre naturali e sintetiche Scalata al di là dei terreni cromatici / Escalade Beyond Chromatic Lands della statunitense Sheila Hicks: un assemblaggio proteiforme di colori accessi illumina le Corderie, invitando i visitatori a toccare con mano i tessuti, ad appoggiarsi e a creare momenti di socializzazione. L’opera di Hicks è un mix di design, architettura, arte e performance spontanea generato da voluminose matasse, espressione di una ‘tessitura imparziale’ (così definita da Hicks) capace di innescare, proprio perché imperfetta, il nostro inconscio fanciullesco.

Sheila Hicks, Scalata al di la dei terreni cromatici / Escalade Beyond Chromatic Lands, 2016-2017pinterest
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Sheila Hicks, Scalata al di la dei terreni cromatici / Escalade Beyond Chromatic Lands, 2016-2017

Padiglione del Tempo e dell'Infinito

La metafisica dell’arte è al centro dell’indagine del Padiglione del Tempo e dell’Infinito. Quale tempo viviamo, si chiedono gli artisti qui raccolti: un presente continuo, un passato che si ripete o un futuro prossimo che contiene attualità e ricordi? Edith Dekyndt con l’installazione-performance One Thousands and One Night cerca di cogliere l’infinito del tempo: un tappeto di polvere illuminato da un fascio di luce in movimento è continuamente spazzato con una scopa affinché la luce illumini costantemente le sfuggevoli ed impalpabili particelle di polviscolo: ma il tempo non si può trattenere…

Edith Dekyndt,One Thousand and One Nights, 2016pinterest
@Italo Rondinella​
Edith Dekyndt,One Thousand and One Nights, 2016

Liliana Porter costruisce una scena di una forza straordinaria in El hombre con el hacha y otras situaciones breves, Venecia 2017 dove una figurina in miniatura di un uomo con un ascia sembra dare inizio ad una catena di disastrosi eventi che coinvolgono la piccola e la grande scala: sparatorie, inseguimenti, vasi rotti, pianoforti caduti dall’alto: dove inizia e dove finisce l’azione?

Liliana Porter,El hombre con el hacha y otras situaciones breves, (Man With Axe), Venice 2017pinterest
@Francesco Galli​​
Liliana Porter,El hombre con el hacha y otras situaciones breves, (Man With Axe), Venice 2017

La poesia di gocce dorate di ceramica poggiate su lastre di metallo nero riempie completamente la sala dedicata all’artista cinese Liu Jianhua che con Square riduce le forme all’essenziale e congela allo stato solida la materia liquida fermando la trasformazione fisico-chimica.

Liu Jianhua, Square, 2014pinterest
@Andrea Avezzù​​
Liu Jianhua, Square, 2014

In chiusura, l’artista polacca Alicja Kwade crea un’architettura labirintica di acciaio e vetro in WeltenLinie dove nove sculture in diversi materiali (pietra, bronzo, alluminio e legno) si ripetono, si specchiano e si trasformano l’una nell’altra confondendo il visitatore rendendolo incapace di riconoscere la sua posizione e la logica del labirinto: il continuum spazio-tempo obbedisce alle leggi di un limite che tende inesorabilmente ad infinito.

Che l’Arte viva sempre e comunque! Viva l’Arte, viva!

Alicja Kwade, WeltenLinie, 2017pinterest
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Alicja Kwade, WeltenLinie, 2017

Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva, courtesy of La Biennale di Venezia

In apertura: THU VAN TRAN, THE RED RUBBER, 2017. FOTO DI: ANDREA AVEZZÙ