La ricerca progettuale della casa giapponese ha prodotto negli ultimi decenni interessanti ed innovativi modelli abitativi: le ridotte dimensioni dei lotti delle metropoli nipponiche e la sensibilità dedicata alla cultura dello spazio domestico sono le due variabili sulle quali si costruisce quella poetica compositiva che oggi contraddistingue una nuova generazione di progettisti.
Esempi di tale approccio sono le architetture di Tato Architects, studio guidato dal quarantacinquenne Yo Shimada. In giapponese il nome dello studio significa “fuori”: tale scelta descrive la formazione professionale di Shimada ‘fuori’ dagli ambienti accademici tradizionali e soprattutto la predisposizione alla progettazione di architetture ‘fuori’ dalle regole, capaci di superare i limiti imposti dalla normativa e divenire opere uniche.
Ultima realizzazione di Tato Architects è la Miyamoto House ad Osaka; per questa casa in Giappone - progettata per una famiglia di tre persone e le loro cose - il cliente ha espresso all’architetto due esigenze: uno spazio in cui i membri della famiglia si possano sentire vicini l’uno all’altro indipendentemente da dove si trovino nella casa e la libera disposizione degli oggetti non vincolati a nessuna logica di archiviazione. La Miyamoto House è una casa nuda, pura architettura che rivela senza filtri (e senza paura) lo scorrere del quotidiano in 94 metri quadri.
Partendo da queste due richieste Yo Shimada ha sviluppato all’interno di un parallelepipedo di 4,5 m x 11 m un disegno risolto come un’unica stanza abitata capace di favorire la coesistenza di corpi e cose: se le stanze private non sono più necessarie (perché lo spazio dell’io è filosoficamente racchiuso all’interno della persona stessa) la suddivisione delle funzioni domestiche è affidata ad una sovrapposizione di piani sospesi fissati a diverse quote.
Sfruttando l’altezza di sette metri del volume il progetto della Miyamoto House è scomposto in una doppia spirale di superfici bianche triangolari e quadrate in acciaio interconnesse tramite sistemi modulari di gradini in ferro e legno: in totale 13 livelli, 7 superiori ancorati tramite barre di ferro alle travi del soffitto e 6 inferiori sostenuti da tubi di acciaio.
Tutti i livelli sono distanziati di 0,70 m l’uno dall’altro; perno centrale e momento di unione delle due spirali è la zona living quadrata posta a 2,8 m dalla quota zero.
Dalla camera da letto alla sala da pranzo, dalla zona living al bagno: la visione è una vertigine di piani dove nessuna parete, nessuna barriera, nessun ostacolo può interrompere una sequenza spaziale volutamente flessibile e aperta a qualsiasi cambiamento nello stile di vita degli abitanti.
Nel progetto della Miyamoto House si leggono numerosi riferimenti alla storia dell’architettura giapponese: la poesia del vuoto e del silenzio della Villa Imperiale di Katsura, lo slancio visionario metabolico della Capsule Tower di Kisho Kurokawa, l’efficacia della scomposizione/moltiplicazione per parti della Moriyama House di Sanaa o della House N di Suo Foujimoto.
Yo Shimada aggiunge un dettaglio in più: il progetto domestico non si svolge solo intorno alla persona ma considera gli oggetti come gli ‘altri’ inquilini della casa.
Dopo anni di minimalismo, tendenza di cui il Giappone è forse stato il più alto rappresentante, quando le cose parevano non esistere nella case, si nota oggi un ritorno al piacere del mostrare ed è forse giusto chiedersi: non sono forse le cose a fare la case?
Nella Miyamoto House i livelli sospesi non sono solo i pavimenti su cui (so)stare: sono piani su cui appoggiare oggetti, sono tavoli su cui mostrare collezioni, sono sedute su cui fermarsi a raccontare storie, sono macro-architetture a servizio di micro-architetture figlie dell’incontenibile impulso verso il riempire di ricordi lo spazio perché l’accumulo porta conforto.
La Miyamoto House diventa una versione aggiornata de La casa della vita di Mario Praz dove “ogni camera è sempre una presenza visibile di cose, uno spettacolo, non uno sfondo neutro”.
Il cliente della Miyamoto House ha vissuto per anni nello stesso quartiere e lentamente si è trasferito nella nuova casa. Da quando ha iniziato ufficialmente a vivere qui, le cose, l'architettura e le persone, racconta il progettista, sono diventate un ensemble: il ricco scenario del loro stile di vita si sta espandendo come se si stessero muovendo all'interno di una foresta: è questo il progetto di una casa senza confini.