Seppur senza un accenno di tregua da queste giornate piovose, ha aperto i battenti in grande splovero l'edizione 2018 di MiArt, la fiera d'arte di Milano che sempre di più si distingue sia sul mercato sia tra il grande pubblico.

Sotto il grande cappello tematico de “Il presente ha molte storie”, il direttore Alessandro Rabottini costruisce un palinsesto di narrazioni varie e complesse, che si snodano tra gli stand e tra le ben 7 sezioni della fiera di Milano, perché “se è vero che ciascun artista porta in sé un mondo interiore, allora ciascuna galleria porta con sé una moltitudine di visioni”.

Senza ombra di dubbio, questa concezione coralica è più che mai evidente in questa edizione, dalla strutturazione della sezione dedicata al design, fino a quella dei grandi maestri.

E se è vero che ogni artista, ogni gallerista e persino ogni collezionista ha in seno una propria personalissima percezione, è vero anche che in alcuni casi questa si traduce andando a tracciare quasi un fil rouge che accompagna il visitatore da uno spazio all'altro.

Nella sezione emergent di Miart 2018, per esempio, in cui 20 diverse gallerie presentano artisti di nuova generazione, è la tematica della materia a farla da padrone, trasformata, reinterpretata, minuziosamente cesellata o sfidata e bistrattata.

Materia come illusione, come artificio o come incessante incombenza. Persino in un timido, ma ritmico e costante ritorno al disegno, è il materiale a consentire alle opere di fare il salto di qualità, come nelle tele di Hanna Hur, dove un gentile segno a pastello su seta dà vita a delicate raffigurazioni, o al contrario la stessa tecnica su grosso lino grezzo si fa più geometrica e rigorosa. La stessa contrapposizione, ma su scala diversa, la si può leggere nella ben riuscita esposizione della galleria Acappella, nella quale, a fianco alle opere filiformi di Joana Escoval, si staglia un monolite di plexiglas, tanto imponente quanto trasparente, che sparisce nelle riflessioni nei lavori specchianti di Pennacchio Argentato.

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Nello spazio della galleria Clima di Milano, giovane realtà ruspante, i materiali dominano lo spazio: da un lato le grandi tele di Valerio Nicolai ambiscono a diventare tridimensionali, uscire dal loro ingombro verticale e rapire l'osservatore inglobandolo sullo stesso piano, dall'altro il linguaggio parlato dalla coppia Lisa Dalfino – Sacha Kanah è disarmante.

Scultura o fotografia, composizione o sonoro, sono solo dei veicoli per spiazzare chi interagisce con i loro lavori: in Giardino Chimico, le superfici, i colori, le impressioni tattili, fuggono dall'ordinario per diventare oggetti o immagini davvero poco familiari, che mettono il visitatore quasi a disagio, lasciandolo tuttavia con una fascinazione morbosa e interrogativa. Una vera rivelazione.

Illusorio e disorientante allo stesso modo è il lavoro di Nicola Martini, presentato da Dittrich & Schlechtriem, nel quale un gruppo di esperimenti alchimistici sposa gommalacca e alluminio, bitume e resina epossidica, fino a formare un paesaggio di insoliti contenitori dentro ai quali i liquidi permangono in una lotta continua.

Zigzagando per i corridoi della di Miart non mancano poi i giganti, come Cardi Gallery che conferma l'alto livello delle sue ricerche, o come Noire che gioca sul sicuro con cognizione di causa parlando a un pubblico molto italiano ma allo stesso tempo ascoltando quello statunitense.

Di pari passo si trovano anche assodate gallerie italiane come P420 di Bologna con un'esposizione molto ben curata e Z2O con una raccolta di lavori incentrati sui materiali di riciclo, sull'annullamento del troppo netto confine tra natura e artificio – la natura ormai non è più solo naturale –, inaugurando una pratica che ci si augura di vedere trattata sempre di più in futuro, un manifesto dell'arte povera del nuovo millennio, se così si può interpretare.

La sezione generations è poi un momento di pausa, una zona che riporta a considerazioni e riflessioni, un passaggio che indaga le ragioni fondanti dell'arte dell'ultimo secolo e che cerca – riuscendoci alla grande – di catalogarle in modalità inesplorate.

Grazie al sostegno di molte gallerie, questa sezione curatissima di MiArt 2018 affianca in ogni area un grande maestro del passato a un giovane artista del presente, prassi esemplificata, tra i molti accoppiamenti, dall'accostamento di due opere di Claudio Parmiggiani sulla combustione a un lavoro di Cornelia Parker.

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Infine, la ciliegina sulla torta è senz’altro la sezione decades, un percorso strabiliante curato da Alberto Salvadori nel quale ogni galleria rappresenta un decennio del Novecento con mostre personali o collettive.

In questa sezione ogni esposizione d’arte ha fatto centro, sia a primo impatto richiamando all'occhio epoche familiari o mai vissute, sia in maniera approfondita i temi più viscerali che hanno caratterizzato i cambiamenti storici.

In quest'area spicca sicuramente la grande installazione di William Anastasi alla galleria Jocelyn Wolff che, oltre a rappresentare alla perfezione l'intento principale della sezione stessa, porta in fiera un momento e un linguaggio artistico poco presente altrimenti a MiArt 2018, così concentrata – come è giusto che sia – sul contemporaneo.

Insomma, questa edizione della fiera d'arte milanese ci offre una visione freschissima, leggera, invitante e al contempo permeata di significati e stratificazioni storiche. Un connubio delicato e dall'equilibrio rischioso che il direttore Rabottini ha sapientemente orchestrato. Assolutamente da non farsi sfuggire.

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MiArt 2018
viale Scarampo, Gate 5
fino al 15 Aprile

www.miart.it