[Case]
Quando gli opposti si attraggono
In Bielorussia una casa di campagna moderna e accogliente
Ai millennial piacciono le piante da appartamento: l’affermazione potrebbe sembrare azzardata, invece è tutto vero. La generazione del terzo millennio non usa il pollice soltanto per scorrere schermi touch, ma forse ha il dono del pollice verde. Insomma, sempre più giovani amano arredare casa e ufficio con le piante. Ne hanno parlato la scorsa estate Le Figaro e il Washington post, e il New York Times ha ripreso il tema in questi giorni. Il motivo di questa passione green? Proviamo a scoprirlo insieme.
Tecnologia o natura, questo è il dilemma. Le ragazze non recano più in mano rose e viole, bensì smartphone e auricolari. Li chiamano “nativi digitali”, ma sulle definizioni serve chiarezza: i millennial sono i nati tra il 1980 e il 2000, mentre per digital native s’intendono i nati dall’85 (e comunque la categoria è controversa). E poi c’è la “generazione Google”, dei nati dopo il 1990. Rileggete e provate a districarvi.
In fondo a noi profani queste etichette dicono solo una cosa: che la parte più recente di umanità è capace di distinguere al buio due diversi modelli di iPhone, ma non il basilico dalla menta.
Eppure, forse non è vero: tra i giovani del terzo millennio serpeggia un’inclinazione segreta, da leggere in filigrana tra le righe di mode e statistiche. Ai millennial piacciono le piante.
A una minoranza, certo, magari anche incostante, liquida e flessibile, che però esiste. D’altra parte, riflettiamoci: questi ragazzi sono cresciuti in sterminate distese urbane di cemento, è vero, ma sono anche maturati all’ombra del Bosco Verticale. E l’ambientalismo, almeno a scuola, lo si pratica ancora con coloratissimi cartelloni (dagli asili arrivano ogni anno piccole proposte per tappare il buco dell’ozono con immense mongolfiere: inascoltate).
Quindi non stupisca se un millennial ogni dieci - magari cento o mille - invece che dai videogiochi è affetto da una salubre passione per le piante: è iscritto nello spirito del tempo. Che poi possa sentirsi male a inalare troppo ossigeno, quello è un altro discorso.
Sgombrato dunque il campo dai pregiudizi generazionali, vediamo in che senso ai giovani piace il giardinaggio.
Primo: i social. Pensavate che parlando di piante da interni ce ne saremmo liberati, ma non esageriamo. Li chiamano plantagramers, e sono quegli utenti Instagram che, tra un filtro e un hashtag, ritraggono le loro bellissime piantine d'appartamento. Amanti dei gatti, fatevi da parte: questa tendenza è molto più originale.
Seconda ragione, e qui il discorso si fa serio: le piante in casa aiuterebbero a colmare un vuoto emotivo. Senza addentrarci nei meandri della psicologia, ci basti osservare che accudire una pianta non solo porta colore, profumo e bellezza nei nostri ambienti, ma colma un innato bisogno “genitoriale”, di accudimento verso un essere a cui rivolgere amorevoli cure. Bisogno insoddisfatto di una generazione condannata a vivere eternamente figlia (e che non ha più l’età per il Tamagochi, ma neanche le possibilità di mantenere un animale domestico).
Il succo è che là fuori ci sono millennial che arredano casa con le piante, e trovano nella vegetazione indoor una soluzione per la decorazione d’interni.
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Come Hilton Carter, che ha raccontato al Washington Post di avere 180 piante verdi nel suo appartamento di Baltimora, o Summer Rayne Oakes, che dopo essere stata abbandonata dalla coinquilina - come nel film Frances Ha - ha trasformato casa sua a Brooklyn in una giungla con 700 piante e oltre 400 specie. “All’improvviso l’appartamento era così freddo e vuoto, dovevo trovare un modo per restituirgli calore e vita”.
E torna alla mente una canzone cubana, Y tu que has hecho: parla di una bambina che incide il suo nome sul tronco di un albero, e dell’albero che la ringrazia con un fiore. Mai storia d’amore tra una persona e una pianta fu più bella di quella narrata in quel disco: Buena Vista Social Club. Ma lì “social” significava un’altra cosa, e l’albero era la metafora di un bellissimo amore. In carne e ossa.
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