Una biografia di Ai Weiwei potrebbe cominciare con una scena del 15 maggio di sette anni fa. Quel giorno, sotto i riflettori dei media mondiali, il governo di Pechino permise a una donna di incontrare il marito recluso da 43 giorni in una prigione segreta del regime.

Quella donna era la moglie di Ai Weiwei, forse il più famoso artista cinese contemporaneo, ma anche designer, architetto, regista, e soprattutto intellettuale dissidente.

L’arresto di Ai Weiwei nel 2011 rientrava nella stretta del governo comunista contro blogger, attivisti e scrittori accusati di cospirare per una supposta “primavera cinese”. Ai Weiwei, utente molto attivo di Twitter, era tra le personalità più temute. Fu recluso per 81 giorni, finché il 22 giugno non fu rilasciato su cauzione in vista del viaggio in Europa del presidente Wen Jiabao.

Anche il padre di Ai Weiwei, il poeta e pittore rivoluzionario Ai Qing, ha sempre coniugato arte e politica. Amico personale di Mao Zedong, quando Ai nasce a Pechino nel 1957, Qing viene criticato per le sue idee politiche troppo “di destra” e spedito con la famiglia in un campo di rieducazione militare. Ai cresce quindi in esilio nel deserto del Gobi, e vedrà per la prima volta Pechino soltanto nel 1976, a quasi 20 anni.

In capitale, Ai intraprende subito la carriera artistica. Fonda il gruppo artistico gli Stars, e con loro riesce a portare per la prima volta un’esposizione d’arte contemporanea in un museo cinese (la China Art Gallery). La mostra è un successo di visitatori e incoraggia Ai a proseguire. Un anno dopo si trasferisce negli USA e all’ombra della Grande Mela reaganiana si innamora dell’opera di Marcel Duchamp e di Andy Warhol. A New York frequenta anche i corsi prestigiosi della Parsons The New School For Design e dell'Art Students League.

Organism, Finger, Hand, Toad, pinterest
Getty Images

Il periodo newyorkese culmina in una mostra personale presso la Ethan Cohen Gallery, ma s’interrompe nel 1993, quando Ai deve tornare in Cina per assistere il padre malato. A quell’epoca risale una famosa opera di Ai Weiwei, il Profile of Duchamp. Sunflower seeds: la sagoma dell’artista francese realizzata con una gruccia riempita di semi di girasole, ingrediente simbolo della cultura cinese.

Al ritorno a casa, Ai trascina con sé l’aria stimolante respirata a Manhattan e partecipa alla creazione di un East Village a Pechino, l’esperimento di una comune d’artisti d’avanguardia che terminerà soltanto un anno dopo, quando il pittore Ma Liuming viene arrestato dalla polizia per aver cucinato nudo nel cortile. Intanto, l'aura statunitense da cui è avvolto fa diventare Ai Weiwei un punto di riferimento agli occhi degli artisti cinesi contemporanei. Ne nascono tre libri dedicati alle nuove tendenze: Libro nero, il Libro bianco e il Libro grigio, veri manifesti dell’arte contemporanea cinese.

Street performance, Street, Pedestrian, Street artist, Road, pinterest
Getty Images

Da una parte Ai Weiwei è critico del regime in fatto di diritti umani, dall’altra attacca l’erosione capitalistica della millenaria cultura cinese. Per questo nel 1995 si fa riprendere mentre distrugge, lasciandola cadere a terra, un’urna cinese di 2000 anni: l’opera si chiama Dropping a Han Dinasty Urn (“rompendo un’urna della dinastia Han”) ed è una chiara provocazione, ben lontana dall’Ode su un’urna greca di John Keats. Un’anno prima, sempre su un’urna Han, aveva apposto il logo della Coca Cola (Han Dinasty Urn with Coca Cola Logo). Nella serie di installazioni Forever (2003) userà le biciclette, simbolo del trasporto per eccellenza in Cina, per criticare ancora una volta la produzione di massa e il conformismo.

Baking cup, Muffin, Food, Icing, Dessert, Baking, Dish, Cuisine, Baked goods, Cupcake, pinterest
Getty Images

Ma l’opera di Ai Weiwei si estende anche all’architettura. Nel 2000 l’artista fonda lo studio Fake Design, e nel 2003, insieme a Herzog & de Meuron, fa da consulente artistico per la progettazione dello stadio di Pechino, il famoso Nido d’uccello. Nello stesso anno, coi legni di alcuni templi sopravvissuti alla demolizione da parte del regime, realizza la scultura Map of china.

Il terremoto, in senso letterale, arriva nel 2008: è il sisma di Sichuan. Sul blog aperto nel 2006 Ai Weiwei accusa il regime di mentire sulle cause dei crolli e sul numero delle vittime, che sono circa 70 mila e per la maggior parte bambini. L’inchiesta gli procura l’oscuramento del blog, interrogatori e maltrattamenti. Ma Ai Weiwei non si ferma e nello stesso anno realizza le opere Snake Bag, un serpente fatto di zaini scolastici, e la toccante Rebar and Case (Tondino e cassa), un insieme contenitori in legno huali che evocano la forma di piccole bare e riproducono i tondini trovati tra le macerie. Entrambe le opere saranno presenti anni dopo, nel 2016, alla mostra italiana su Ai Weiwei, a Palazzo Strozzi di Firenze.

Il regime non molla: nel 2010 demolisce lo studio di Ai Weiwei a Malu Twon, e nel 2011 arresta l’artista senza alcun capo d'accusa formale. Segue la pretestuosa imputazione per evasione fiscale, che porterà 30 mila sostenitori a raccogliere i soldi per pagare la multa milionaria. Il conflitto con il potere centrale, durato ben 4 anni, si ferma soltanto nel 2015 con l’allestimento della mostra a Pechino Ai Weiwei.

Il fenomeno Ai Weiwei esplode a livello mondiale nel 2012, quando viene riconosciuto da una serie di mostre tra Parigi, Washington, Berlino e Londra. Un documentario su di lui, dal titolo Ai Weiwei: never sorry, ne racconta le avventure tra arte e politica. In Italia viene esposto anche a Palazzo Te di Mantova, (Il giardino incantato, 2015) e a Palermo (ZAC - Zisa Zona Arti Contemporanee, 2017).

Oggi, tra un selfie contestato e l'attivismo per la libertà d'opinione Turchia, Ai Weiwei è esposto a Chicago con la mostra Trace in Chicago, una serie di ritratti di militanti e prigionieri politici realizzati in mattoncini Lego. Ha 371 mila follower su twitter, ma i suoi cinguettii non arrivano nella sua madre patria.

Quale sarà la nuova meta di quest'esule senza pace? Non si sa. Negli ultimi anni il dissidente cinese ha vissuto e insegnato a Berlino, dove si era trasferito nel 2015 allo scadere del divieto di espatrio. Ma la barriera con la lingua tedesca, ha spiegato di recente, è troppo forte. E anche il sole gli manca un po’. “Ovunque andrò, - ha detto - non lo chiamerò casa”. Un po' come quei migranti che ha raccontato in Human flow, il documentario sulla crisi migratoria che ha presentato come regista alla 74a Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.

Lettermark
Roberto Fiandaca

Roberto Fiandaca è un collaboratore freelance. Per Elledecor.it si occupa di news, di approfondimenti culturali e di progetti di riqualificazione urbanistica e architettonica che promuovano la sostenibilità sociale e ambientale. È nato a Palermo, si è laureato in giurisprudenza a Torino e oggi vive a Roma dove si divide tra giornalismo, scacchi, e sceneggiature per il cinema e la tv.