Alice Rawsthorn. Un nome che non ha bisogno di presentazioni nel mondo del design. Punto di riferimento e mente critica non solo nel campo del design e dell’architettura, ma della scena culturale e sociale a tutto tondo, con il suo immenso bagaglio di conoscenza e sapere, con sempre un occhio vigile e spalancato sui temi più attuali, partendo da base storiche per rivolgersi al futuro.

Due parole, solo per inquadrare e portare il suo profilo in primo piano.

Inglese, Alice Rawsthorn è pluri-premiata giornalista e critica di design, con quasi 20 anni di esperienza presso il Financial Times e editoriali settimanali per il New York Times per più di una decade.

Nata a Manchester, ha studiato Storia dell’Arte all’Università di Cambridge. Voce e penna lucidissima, è autrice di vari libri, tra i quali Hello World, Where Design meets Life, scritto nel 2013, è pietra miliare della cultura e del percorso formativo del design.

Nel 2014 è stata onorata con il riconoscimento OBE (Officer of the Order of the British Empire) per i servizi resi al mondo del design e delle arti.

Alice Rawsthorn è ospite e relatore di simposi e appuntamenti internazionali, dal World Economics Forum di Davos alla Singapore Design Week.

L’abbiamo incontrata a Milano, in occasione di una conferenza che ha moderato presso la scuola di design Domus Academy, con la quale collabora nell'ideazione di una serie di incontri per gli studenti internazionali: Prototyping ideas.

Impeccabile nella sua elegante attitudine professionale e nella sua straordinaria conoscenza; le sue parole rispecchiano la sua mente così attenta e precisa.

Ecco la nostra conversazione, dalle promesse e il futuro che aspettano gli studenti di design all’analisi dei nostri tempi e dell’impatto della tecnologia sul design.

Ed ecco anche la sua opinione sul Salone del Mobile e i suoi suggerimenti per la Design Week 2018 (17-22 Aprile), e da ultimo ma non meno importante, la presentazione del suo nuovo libro Design as An Attitude, in uscita a maggio.

A Milano ha moderato la serie di incontri e conversazioni Prototyping ideas della scuola Domus Academy. Cosa significa Prototyping ideas?

Be, Prototyping ideas è il concept di Line Christiansen, Preside della Domus Academy, che voleva aggiungere un elemento di criticalità e di dibattito ai corsi, per attraversare tutte le differenti discipline e mettere insieme gli studenti, stimolandone il discorso culturale. La tesi è che il mondo stia cambiando così rapidamente e a un ritmo così tumultuoso che dobbiamo mettere in discussione qualsiasi cosa e molti sistemi che erano validi nel secolo scorso non lo sono più: abbiamo bisogno di un nuovo strumento per reagire alle sfide del XXI secolo, c’è bisogno di prototipare nuove idee, interrogare noi stessi e condividere pensieri.

L’idea. Tutti possono avere una buona idea ma poi cosa fa la differenza nel trasformarla in un successo concreto? Ricordo un’affermazione di Vico Magistretti nel recente documentario sulla sua vita, dove sosteneva che le idee da sole non contano.

Penso che questo fosse vero nell’era della vecchia scuola del design industriale del XX secolo, ma oggi le idee sono assolutamente critiche per il design e il risultato fisico è meno importante. Ovviamente quei progetti di design tradizionale fondati sul product design di cui Magistretti parlava continueranno, ma ci sono così tante altre interpretazioni del design dove non c’è la forma che segue la funzione.

Scuola e lavoro. Uno studente oggi e il suo presente e futuro. La scena e il mercato sembrano saturi, quali opportunità quindi per uno studente di design?

Penso che ci siano più opportunità che mai prima d’ora, perché il design oggi è accettato da numerose e differenti discipline come strumento utile da usare come parte di processi e media. Può essere utilizzato per affrontare questioni critiche, problemi sociali, politici, culturali e ambientali.

Tradizionalmente i designer tendevano ad avere un ruolo alquanto periferico, dove, per esempio, disegnavo la grafica che comunicava le decisioni altrui. Oggi i designer sono sempre di più coinvolti nel processi decisionali.

Così penso che questo sia un momento fantastico per essere uno studente di design o un giovane designer, perché ci sono molte più opportunità di prima. E questo è davvero il significato sottinteso del mio nuovo libro, Design as An Attitude (Design come Attitudine, ndr): il design oggi gioca un ruolo così dinamico in così numerosi ambiti. I designer, grazie a strumenti digitali piuttosto basilari, possono operare indipendentemente per perseguire i propri fini. Hanno davvero a disposizione tutti gli strumenti necessari per organizzare una propria attività.

Città e luoghi di design oggi. Siamo a Milano e il Salone del Mobile è a meno di un paio di settimane. È Milano ancora l’epicentro del design?

Be, prima di tutto penso che la geografia oggi sia meno importante per il design, grazie alla tecnologia digitale. Il design, così come molti altri campi, può oggi essere praticato dovunque. Non hai bisogno di vivere di fianco all’azienda, come succedeva durante l’età d’oro del design italiano. Dall’altra parte, c’è sempre più e più interesse nell’eredità culturale del design, così penso che città come Milano, con una storia e una tradizione del design così incredibili e ricche, siano apprezzate più che mai e a un livello maggiore. E le scuole e le istituzioni culturali di Milano stanno aiutando in questo senso. L’apertura dello studio Castiglioni è stata davvero una meravigliosa iniziativa per celebrare quell’eccezionale parte della storia del design di Milano. Criticamente, ci sono designer davvero interessanti che escono dalla scena italiana e lavorano a Milano oggi. Questo è un momento grandioso per il design italiano in generale.

A proposito di design italiano, quali i nomi che ci consigli da monitorare?

Andrrea Trimarchi e Simone Farresin di Studio Formafantasma per esempio: due design italiani di base in Olanda che stanno facendo un lavoro davvero innovativo e orginale, combinando, o meglio reinterpretando la pratica tradizionale? del product design tradizionale? in un modo molto affascinante, con progetti di ricerca a lungo termine.

Tre anni fa ha scritto un articolo riguardo al Salone del Mobile per il magazine d’arte Frieze che ha fatto clamore. Ne denunciava il cambiamento e l'instabile influenza, definendolo il Salone del Marketing invece che il Salone del Mobile.

Al tempo non avevo idea che avrei causato un dibattito così acceso. Ovviamente penso che il Salone del Mobile sia una fiera di mobili di enorme importanza. Il punto che io volevo sottolineare nell’articolo non era che Milano non avesse più valore e attualità: sostenevo proprio il contrario, solo facendo notare la disconnessione tra la fiera dei mobili e il design oggi. Ci sono molte altre aree del design che si aprono. Il Salone del Mobile mi ricorda in qualche modo Coachella, che è nato come festival di musica indipendente e oggi è qualcosa di molto lontanto dalle sue origini, o Art Basel Miami Beach, che è una fiera d’arte contemporanea ma sempre più brand lo usano per opportunità promozionali. Così confermo tutto quello che ho scritto, ma non ho detto che il design a Milano o il Salone del Mobile sono finiti: ho semplicemente detto che penso ci sia una redifinizione tra loro e il design, che continua a evolversi.

E a quali altri appuntamenti nel mondo dovremmo guardare?

Il Salone del Mobile è ancora incredibilmente potente, è il più grande evento di design dell’anno, ma ha sempre più e più concorrenti. Colonia per i mobili e l’aspetto commerciale è molto importante. Se guardiamo agli eventi di design in generale, la Dutch Design Week in Olanda è un assoluto fenomeno, con mostre molto interessanti legate all'aspetto culturale del design, con al centro le presentazioni di laurea della Design Academy Eindhoven. Istanbul ha creato biennale d’architettura interessante e polemica, così come Gwangju in South Korea.

Tornando alla Milano Design Week, quali presentazioni aspetta con maggior curiosità?

Non vedo l’ora di vedere, ma è storico, non contemporaneo, la mostra su Lina Bo Bardi presso la galleria Nilufar: un architetto strepitoso, che in questi anni vede un’impennata di interesse nel suo lavoro. E Not For Sale, la presentazione della Design Academy Eindhoven, per la prima volta organizzata dal suo nuovo Direttore Creativo Joseph Grima, che ha studiato un concept fantastico: incorporare i progetti nella vita quotidiana di una strada di Milano, via Crespi. Così dovrebbe essere davvero interessante. E il Lexus Design Award è sempre un’altra grande fonte di interesse per i giovani designer.

A maggio esce il tuo nuovo libro Design as an Attitude. Ce lo presenta?

Il libro è un sondaggio sul design contemporaneo, e si basa sugli articoli che ho scritto per Frieze magazine nel corso degli ultimi tre anni, rivisti e aggiornati, e in più ci sono testi inediti. Presenta quelle che io penso siano le questioni che definiscono il design oggi. Mentre stavo riscrevendo gli articoli orginali mi sono accorta che il tema che ricorreva in tutto il libro era l’impennata dell’attività che io chiamo design attitudinale, secondo la citazione di Laszlo’ Moholy-Nagy (pittore e fotografo ungherese ndr) del 1947: “Il design non è una professione ma un’attitudine”.

Nell’era industriale il design era formalizzato e professionalizzato, hanno aperte scuole di design, sono state inventate le categorie di design, ma era riservato e limitato a un ruolo principalmente commerciale, eseguito secondo le istruzioni dei clienti. Quello che gli strumenti tecnologici, davvero basici, hanno fatto è liberare il design da quel sistema. Alcuni designer continueranno a lavorare in quel modo convenzionale, e va bene, ma sempre più designer avranno l’opportunità di lavorare indipendentemente, e di perseguire i propri obiettivi, siano essi ambientali, politici, sociali o imprenditoriali.

Cosa intende in esempi concreti?

In Italia c’è un lavoro eccezionale sulla crisi dei rifugiati, per esempio: i laboratori Talking Hands a Treviso, dove si insegnano ai rifugiati nuove abilità e si migliorano le esitenti, permettendo loro di guadagnare e costruire ponti con la comunità locale. Talking Hands è stato fondato dal graphic design Fabrizio Urettini, e i laboratori sono gestiti da designer locali con la collaborazione di volontari. Così, come ho detto prima, ci sono sempre più e più opportunità per i designer di operare indipendentemente e, grazie al crowd funding e ai social media, di raccogliere soldi su una scala di ambizione sempre maggiore. Uno dei progetti più audaci è Ocean Cleanup, una non-profit olandese, lanciata qualche anno fa da Boyan Slat, studente ventenne di ingegneria. Ha il piano ambizioso di affrontare uni dei più grandi problemi del nostro tempo, l’inquinamento, ripulendo gli oceani dagli scarti di plastica. Collabora con più di cento designer, ingegneri e scienziati per progettare un gigantesca struttura galleggiante e ha raccolto più di 30 milioni di dollari con il crowd funding, donazioni e investimenti. Una cifra fenomenale per un’iniziativa indipendente, non collaudata e testata. Il team di Ocean Cleanup ha prototipato la stuttura, l’ha testata nel Mar del Nord e il piano è che a maggio vada in azione nel Pacifico. Il progetto è stato oggetto di lunghi dibattiti tra scienziati e ambientalisti, ma dimostra che se un designer ha un’idea davvero coinvolgente e importante per il mondo, può coinvincere le persone e realizzarla e sostenerla.

A proposito, cosa ne pensa dell’enorme e così urgente problema dello Spreco, che è stato al centro anche dell’ultima conferenza Prototyping ideas promossa dalla Domus Academy e da lei moderata?

È uno dei problemi maggiori che abbiamo davanti ed qui il design può fare – e davvero in certi casa fa – una grande differenza. Possiamo guardare allo spreco in un senso pratico: come gestiamo, riduciamo e sperabilmente ricicliamo in modo utile i rifiuti esistenti. Ma anche possiamo pensare al design e allo spreco su un base più generica: il design è sprecato nella società, ne facciamo il miglior uso possibile or stiamo sprecandone il potenziale? È la qualità del design alta abbastanza così non è sprecato? Ci sono molto modi differenti di interpretare la relazione del design con la questione dello spreco.

È molto interessata alla ricerca e alla tecnologia. Come vede il futuro del design alla luce dell’avanzamento tecnologico e dell’intelligenza artificiale?

Storicamente il trovare applicazioni positive per le nuove tecnologie era uno dei ruoli chiave del design, e ovviamente continua a essere sempre più importante, di pari passo all’avanzamento della tecnologia a una velocità e scala senza precedenti. Un torrente di nuove tecnolgie promettono di diventare parte della nostra vita quotidiana nei prossimi dieci: quantum computing, neuromorphing computing, che include l’intelligenza artificiale, cripto-valute, block chain e così via. Dato che queste tecnologie sono così potenti e complesse, è assolutamente essenziale che vengano interpretate positivamente e non negativamente. Se leggiamo i media, ogni giorno sembra che ci sia un’altra storia spaventosa riguardo l’intelligenza artificiale, e la verità più schietta è che, se è mal progettata, può causare problemi enormi e una quantità immensa di danni. Al contrario, se è fornita intelligemente e con sensibilità, può aiutarci in tutti i tipi di problemi. I designer saranno assolutamente fondamentali nel trovare applicazioni positive e vantaggiose per queste tecnologie e hanno un’incredibile opportunità di identificarle.

Per finire, andiamo digital! Design e social media: il suo account Instagram è così originale, con un' identità molto precisa e forte, impostato secondo vari temi, e ogni post offre testi con preziosi riferimenti culturali e storici. Un lavoro così ricco per ogni immagine.

Be, lo faccio per divertimento. Ho anni di esperienza nel giornalistmo, sono stata corrispondente per il Financial Times e sono abituata a scrivere fino a sei storie al giorno: sono formata per questo, ed è qualcosa che davvero mi diverte. Quando non mi divertirò più, allora smetterò.

Mi piaceva già usare Facebook e Twitter e quando Instagram è esploso ho pensato che non volevo gestire un altro canale, ma molti amici mi dicevano “devi farlo, vedrai che lo amerai”. Così ho deciso di impostarlo come un progetto fin dall’inizio. Il mio intento era di usarlo per provare a convincere le persone a vedere il design come lo vedo io, non come tipico esercizio stilistico, ma come agente incredibilmente dinamico di cambiamento, con il potenziale di incidere sulle nostre vite in molti modi. Lo scrivo rivolgendomi alle persone fuori dalla comunità del design, per trasmettere questo messaggio spero in modo divertente. E uno dei motivi per il quale amo Instagram così tanto è perché a mia volta mi piace leggere i post degli altri. Penso sia un mezzo molto utile e adatto per comunicare questo mio sguardo particolare sul design e come anche gli altri lo vedessero. La settimans scorsa per esempio i post erano dedicati al Design e Giardini, con l’occasione della primavera, e questa settimana il tema è Design e Salute, dato che sabato è il Giorno Mondiale della Salute.

E cosa ci consiglierebbe di seguire su Instagram?

Un’amica, Jennifer Higgie, direttore editoriale di Frieze, ha un Instagram splendido sulle donne, raccontando sempre un profilo di donna eccezionale, spesso ingiustamente dimenticata, nata in quel giorno. Scrive magnifiche mini-briografie per ognuna di loro. Mi piace Instagram come fonte di informazioni, siano visive o con parole.

In apertura: ALICE RAWSTHORN, PLURIPREMIATA GIORNALISTA INGLESE E CRITICA DI DESIGN. FOTO DI: MICHAEL LECKIE