Gabriella Pescucci e il cinema, o meglio i costumi per il grande cinema e i suoi Maestri, sia italiani che stranieri, da Federico Fellini a Martin Scorsese, Terry Gilliam e Tim Burton.

Gabriella Pescucci è costumista di cinema e produzioni televisive internazionali di prima grandezza, talento e orgoglio italiano nel mondo, toccando sia i film period (di ambientazione storica) che di fantasia.

Qualche titolo per cui ha disegnato costumi e abiti?

In ordine cronologico: La città delle donne di Federico Fellini, C’era una volta in America di Sergio Leone, ll nome della Rosa e Le avventure del Barone di Munchausen di Terry Gilliam. E ancora: La lettera Scarlatta, La Fabbrica di Cioccolatodi Tim Burton, La prima cosa bella di Virzì... fino alla serie TV I Borgia - e nel mezzo anche l'opera, per esempio La Traviata a La Scala, e una meravigliosa cascata di riconoscimenti e premi, dai David Donatello ai BATFA, Nastri d'Argento ed Emmy Awards.

E nel 1993 ecco l'Oscar con L’Età dell’Innocenza di Martin Scorsese.

Nata a Rosignano, in provincia di Livorno, Gabriella Pescucci inizia la carriera come assistente di Piero Tosi sul set di "Morte a Venezia" di Luchino Visconti, nel '71.

In questa domenica dedicata agli Oscar – stasera a Los Angeles andrà in scena la 90esima edizione degli Academy Awards – parliamo così di cinema, abiti e sogni sul grande schermo con lei, al telefono da Roma. Il segreto del suo mestiere? “Il mio lavoro – dice - non è fare un bel vestito, ma fare un vestito che aiuta l’attore a entrare nel personaggio”.

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Il cinema per lei Signora Pescucci?

Una bellissima forma di comunicazione. Devo molto al cinema, ho scoperto delle culture nuove, delle situazioni politiche che non conoscevo; il cinema non è soltanto evasione, può essere un grande mezzo di conoscenza.

All’università ho studiato storia del cinema e ricordo lo si definiva anche come occhio del 900, specchio della società…

Grande specchio della società ma anche grande critica del passato; è una grande forma di spettacolo. Sai cosa permette il cinema che è meraviglioso? Se uno si annoia, si alza e se ne va. Non succede niente, nessuno si offende!

Ecco, mi è successo proprio con il film che ha vinto l’Oscar l’anno scorso, Moonlight. Non ne potevo più.

Neanche io!

E a proposito di Oscar e moda, plurinominato quest’anno è Il Filo Nascosto, storia, tra privato e pubblico, dello stilista inglese Reynolds Woodcock. Cosa ne pensa?

Eh non l’ho ancora visto. Credo che sia molto bello. Si parla di questo sarto inglese, che nessuno conosce, se non Londra, perché in quegli anni la moda era Parigi, con Dior, Balenciaga, la moda nasceva lì non a Londra, ma questa è la risposta degli inglesi che vogliono avere il primato su tutto. Sono fatti così… ma sono un grande popolo. Quando vedi il film Dunkirk (altro candidato agli Oscar 2018 come miglior film, ndr) ti accorgi che è proprio un gran popolo.

Veniamo a lei ora. Un passo indietro: la sua formazione, come ha iniziato?

Oh, è così noioso. Ho studiato all’Istituto d’Arte a Firenze, facevo affresco, poi l’Accademia di Belle Arti sempre a Firenze; poi, siccome il mio desiderio era fare cinema, sono venuta a Roma e ho cominciato con la cartella di disegni sotto il braccio a bussare a tante porte, però erano anni facili, si lavorava, non era come adesso. Io dico sempre che avevo la sensazione precisa che il mondo mi aspettava, credo che oggi un ventenne senta che il mondo lo rifiuta; trovo che i ventenni di oggi siano però molto consapevoli di tutto questo e così spesso si preparano molto di più, proprio perché sanno che il mondo non li aspetta.

Quindi Signora Pescucci a Roma l’aspettavano?

Prima di tutto non continuare a chiamarmi Signora Pescucci, ma Gabriella. Sì, è stato tutto molto semplice. Ho cominciato a lavorare: certo, i soldi erano pochi, ma quando uno è giovane dei soldi se ne frega, c’è quella leggerezza della vita che ti consola, che ti manda avanti.

Ha lavorato con i grandi registi italiani come Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Sergio Leone, e poi con i grandi nomi stranieri come Martin Scorsese, Tim Burton, Terry Gillian… Italia e Hollywood…

Aspetto gli Americani qui in Europa, quando devono fare un film d'epoca o una serie televisiva vengono da noi, io li aspetto in Italia.

Differenza tra set italiano e straniero?

Nella mentalità tantissima. Con gli stranieri i ruoli sono più precisi, tutto è più scandito e diviso. Noi italiani siamo più pasticcioni, ma spesso anche più divertenti, assolutamente.

Mi piacerebbe entrare nel vivo del suo mestiere, come crea?

Leva la parola creare dal tuo vocabolario, creava Michelangelo, noi non creiamo un cavolo. Si fa. Si comincia leggendo la sceneggiatura, ci si documenta su che cosa è successo intorno a quegli anni etc. Poi si cerca il materiale fotografico, e io incomincio a disegnare: per me il disegno è importante, quando disegno anche un particolare, un polso, un colletto, me lo ricordo, avendo una grande memoria visiva, altrimenti lo dimentico con facilità, per questo sto sempre a disegnare.

I suoi disegni si concretizzano sempre poi in una produzione come l’aveva in mente?

Io faccio quello che mi piacerebbe fare, poi dopo c’è la discussione con il regista, mi confronto continuamente con lo scenografo per la parte colori, per evitare che uno si sieda su una poltrona con la stessa stoffa del vestito, bisogna prestare attenzione: c’è un lavoro molto vicino con la scenografia e con l’arredamento, e poi c’è un confronto con la regia. Ma il mio lavoro non è fare un bel vestito, ma fare un vestito che aiuti l’attore a entrare nel personaggio. Questo credo che sia la cosa più difficile, perché fare un bel vestito, con una brava sartoria e una brava cucitrice, è molto più facile. Quante domande hai ancora? perché io mi annoio da morire!

Ah, ma io no! A ogni sua parola mi si apre una nuova casella o domanda. Mi piaceva quello che ha appena detto, che poi è quello che il vestito fa anche tutti i giorni: ci dà un personaggio, uno stato d’animo.

Certo. Il vestito che uno sceglie all’80% rappresenta quello che pensa.

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Disegno di Gabriella Pescucci per gli abiti de La Fabbrica di Cioccolato,

Suoi i meravigliosi costumi di L’età dell’Innocenza di Martin Scorsese, con cui ha vinto l’Oscar nel '93: qui abbiamo un film di ambientazione storica, e poi penso alla fantasia di La Fabbrica di Cioccolato di Tim Burton.

È molto diverso. Nell’Età dell’Innocenza si parlava di un’alta società newyorkese dove tutte si vestivano a Parigi, ed era il massimo dell’eleganza, ed erano le famiglie che dominavano l’America. Altri film sono più liberi, più di fantasia. Però io dico sempre che la fantasia viene dalla conoscenza, altrimenti uno pensa di aver inventato la forma di un bottone e poi si scopre che invece è stata fatta cent’anni fa. La conoscenza, il documentarsi è fondamentale. Oggi è molto più facile, Pinterest è una forma inesauribile di fotografie di qualsiasi cosa.

Non solo siamo nel cuore della stagione del cinema, ma anche della moda, dopo Milano, ora siamo nel pieno delle sfilate di Parigi. Tutto oggi si consuma nel giro di 24 ore e si parla molto dello spettacolo della sfilata e poco dell'abito.

Sì, ma la verità è che le sfilate sono spettacolo e quello che interessa è che se ne parli. Finché è spettacolo è sempre piacevole, no? E comunque dentro lo spettacolo ci sono i vestiti e gli addetti ai lavori capiscono subito se ci sono delle novità, se ci sono dei suggerimenti interessanti. Mi hanno detto che è stata molto spiritosa la sfilata di Dolce & Gabbana, con dei droni che volavano. Benissimo che ci sia un attimo di spettacolarità, ma l’importante è che poi la concentrazione vada sul prodotto. E la moda è un sistema che regge un’economia pazzesca.

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Disegno di Gabriella Pescucci.

Cinema e moda?

Sempre a stretto contatto, specie nei film contemporanei dove nel tuo lavoro hai bisogno degli stilisti di moda. Nel period, come dicevamo, disegno io i vestiti e ho bisogno di una sartoria che me li realizzi, ma nel contemporaneo spesso si collabora con i marchi di moda, vengono usati i vestiti degli stilisti perché sono giusti per il personaggio.

Sempre a proposito di cinema e moda, è appena stata Mentor del progetto Armani / Laboratorio promosso da Giorgio Armani con un gruppo internazionale di studenti che ha realizzato il cortometraggio La Giacca.

Un progetto bellissimo, è molto generoso da parte di Armani sostenere i giovani, selezionati attraverso un bando da tutte le scuole italiane e non. E Armani ha un rapporto di lunga data con il cinema, da American Gigolò a Gli intoccabili.

Il suo lavoro sul set, per finire.

Nessuno di noi, come dicevo, fa un lavoro singolo, non siamo pittori davanti a una tela dove si fa quello che si vuole. Siamo tante persone tutte insieme che cercano di dare il meglio al regista, il quale deve fare un bel film. È tutto semplice, no? È così il cinema, è un lavoro di équipe, tutto al servizio della regia, sperando che faccia un bel film, perché se fa un bel film ci guadagniamo tutti.

La prova più dura?

Io ho proprio quel che si dice un bel carattere, cancello le parti negative del mio lavoro e mi ricordo solo le parti positive, per cui non ti posso raccontare niente di negativo, proprio non ce l’ho nella testa.

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Disegno di Gabriella Pescucci.
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Disegno di Gabriella Pescucci.

In apertura: L'abito della costumista italiana Gabriella Pescucci indossato da Uma Thurman nel il film Le avventure del barone di Munchausen di Terry Gilliam.