Lee Broom, scarpe con borchie di Gucci, camicia e pantaloni di Thom Browne o t-shirt bianca e mani in tasca, un taglio di capelli che da solo è una dichiarazione di personalità e orecchino, talvolta a sinistra, talvolta a destra.

Lee Broom è il designer che più di chiunque altro oggi rappresenta non solo la contemporaneità e la freschezza del design, ma l’attualità del gusto e della moda; in inglese diremmo “cool”.

42 anni, parla e si muove con spiccato accento inglese e soprattutto con spiccata presenza fisica, e scenica. Da ragazzo era attore di teatro e quegli anni sul palco non possono che averne plasmato sicurezza e senso scenico, così come lo stage da Vivienne Westwood e gli studi di moda alla Central Saint Martins ne hanno arricchito personalità, gusto e competenze.

Lee Broom non è un designer alla classica maniera, che disegna e collabora con aziende differenti di volta in volta come è d’abitudine nel settore, ma, come il collega sempre inglese Tom Dixon, è designer-imprenditore, un indipendente, con il proprio omonimo marchio Lee Broom.

La base – studio e showroom - è a Londra, nella piccola Rivington Street, a Shoreditch, area underground a est della città, dove, rubando ancora una parola inglese, “hipster”, artisti e designer macinano creatività, divertimento e sperimentazione.

Lee era alla Milano Design Week per presentare la nuova collezione di lampade Observatory, esplicitamente dedicata a cielo e stelle, realizzata con un sistema di illuminazione LED.

E da domani, 18 maggio, al 21, porterà questa stessa collezione a New York nel proprio store a SoHo, con l’occasione della manifestazione NYC x Design.

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La novità che stai presentando è la collezione d’illuminazione Observatory.

Negli ultimi due anni ho disegnato una grande varietà di pezzi, sia di arredamento che d’illuminazione e accessori e stavo pensando a cosa potessi presentare quest’anno. Mi sembravano molto forti soprattutto le lampade e così ho pensato che potesse essere molto carino fare una collezione solo di illuminazione. Sono conosciuto per l’illuminazione ma era da due anni che non producevo più nulla.

Sei famoso per le lampade, ma anche per il tocco unico delle scenografie dei tuoi eventi, indimenticabile è il “Department store” messo in scena a Milano nel 2015, o la giostra dell’anno scorso a Ventura Centrale.

Mi piace l’aspetto teatrale, lo spettacolo; l’esperienza per me è importante. Dalla collezione "Department store", tutte le mie presentazioni hanno sempre un senso teatrale molto forte.

Ti distingui anche per la tua formazione poliedrica, hai anche la moda nel sangue, giusto?

Ho studiato moda e sono stato da Vivienne Westwood, credo così in un certo senso di essere anche un designer di moda.

O meglio, ho lavorato prima da Vivienne Westwood e poi mi sono iscritto alla Central Saint Martins. Avevo vinto un concorso, era un premio per scovare i nuovi talenti della moda in UK. Ho partecipato, Vivienne Westwood era in giuria, ho avuto modo di incontrarla e quando le ho chiesto l’autografo lei mi ha scritto il suo numero e mi ha detto “dovresti telefonarmi e dovresti venire a trovarmi in studio”.

L’hai chiamata, come è andata?

Sono andata a trovarla e ho trascorso due giorni con lei nel suo ufficio. Ho partecipato al suo fianco a riunioni e appuntamenti, mi ha raccontato della sua passione per la storia dell’arte e per la letteratura… è stato incredibile! Così, alla fine delle due giornate con lei le ho mostrato il mio quaderno con centinaia di bozzetti. Suo marito Andreas mi ha chiesto se volevo rimanere, potevo stare come stagista fino a quando volevo, e così sono rimasto per dieci mesi, nell’ufficio stile. Mi hanno portato a Parigi, ho vestito Kate Moss, Naomi Campbell. Avevo appena compiuto 18 anni, è stata davvero un’esperienza unica e potente!

E dopo, come hai proseguito?

Ho fatto domanda per essere preso alla Saint Martins (scuola di moda e arti a Londra tra le numero uno al mondo, ndr).

Sono abituato e amo disegnare da sempre, mio papà era un artista, i miei genitori avevano un’attività di stamperia, mio padre mi ha insegnato a disegnare fin da piccolo.

Sei nato e cresciuto a Londra?

No, a Birmington, poi mi sono trasferito a Londra per Vivienne Westwood e la Saint Martins. Ma a dire il vero prima di appassionarmi alla moda e al design, ho fatto l’attore, ho lavorato in molte produzioni, sia in TV che a teatro, conosci la Royal Shakespeare Company? Facevo parte della compagnia, ho fatto l’attore per dieci anni, dai 7 ai 17. E del teatro amavo l’aspetto del design, ma in quella fase la vera passione era recitare.

È ancora viva?

No, no, non più, ma era la carriera che si pensava dovessi continuare.

E poi invece dal teatro e la moda ti sei spostato verso il design e l’arredamento, non solo come designer ma come imprenditore, aprendo il tuo brand.

Sì, non ho mai collaborato con le altre aziende, ma produco io stesso. Nel 2007 ho fondato il brand “Lee Broom”.

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E alla Milano Design Week ti sei presentato con un passo in più, la possibilità di acquistare, dal giorno stesso della sua presentazione, la collezione, quando di solito il Salone del Mobile presenta dei prototipi che andranno sul mercato in un secondo momento.

Sì, la gente poteva acquistare i pezzi subito, disponibili appena abbiamo aperto le porte.

È una nuova idea che ho voluto provare e una cosa è presentare un prototipo, un’altra industrializzarlo, si entra in un’altra fase e le cose cambiano. È diverso fare un pezzo e farne un centinaio, è un processo completamente diverso, e a volte devi cambiare il design, adattarlo alle possibilità di produzione, a volte devi perfino cambiare il produttore. Quello che volevo presentare a Milano era la possibilità per la gente di vedere esattamente quello che poi avrebbe avuto.

Prima, i prodotti presentati a Milano, erano poi disponibili sul mercato cinque mesi dopo, quindi a settembre. Ma anche in quel caso ci premuravamo che uscissero tutti i prodotti che avevamo lanciato, non testavamo il mercato, ma tutti andavano sempre in produzione. A Milano tutti amano "lavorare duro, giocare duro".

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"Lavorare duro, giocare duro": sei tu?

Io in realtà sono molto noioso! Non vado mai per club. Vado a qualche festa e cose così, mi piace divertirmi e uscire, ma anche lavoro sodo. Mi piace molto il mio lavoro, c’è il mio nome sulla porta, siamo la stessa cosa.

Così, come dicevamo prima, sei un imprenditore, non solo un designer.

Ho un socio, che poi è anche il mio attuale compagno di vita. Lavoriamo insieme, io mi curo più della parte creativa, lui del business, ma prendiamo ogni decisione sempre insieme. Abbiamo il team per le vendite, la logistica…

E quante persone per il design?

Un designer al mio fianco e poi quattro persone nello sviluppo del prodotto. In tutto siamo 25 divisi in diversi dipartimenti. E abbiamo un ufficio a New York, per le vendite e il marketing. La parte di design è abbastanza personale Quando ho iniziato l’attività, facevo ogni cosa, e potevo dedicarmi al design solo in piccola parte, perché dovevo tenere sotto controllo tutto, ma oggi che il mio team è cresciuto e ho un socio ho più tempo per dedicarmi al design. E per me il processo creativo è davvero personale. Disegno e fascicolo immagini sempre, non esco mai senza il mio album, che poi condivido con il mio team.

Tornando indietro, dopo Vivienne Westwood siamo rimasti alla Central Saint Martins. Poi come è andata?

Facevo la Saint Martin, ma l’ultimo anno avevo bisogno di guadagnare, così ho iniziato a bussare a qualche ristornante e bar per vedere se avevano bisogno di consigli di interior, o di qualcuno che li facesse le tende, i cuscini…

Studiavo moda, ma mi piaceva anche l’arredamento, curare il décor del mio appartamento, avevo fatto qualche cornice per specchi, cose così. Ho pensato sarebbe stato un metodo interessante per guadagnare qualche soldo. Così ho avviato una conoscenza con una società di bar, che ha iniziato a darmi sempre più lavori per i loro interni. Lavoravo ma continuavo a studiare moda, ma per la collezione finale al college devi spendere un sacco di soldi per realizzarla, e quando mi sono laureato ero rimasto senza una lira. Un bar mi ha chiesto se volevo disegnare il loro nuovo spazio fin dall’inizio, che sarebbe poi diventato "Nylon". L’ho fatto da zero con la mia amica e compagna di classe Maki, è stato un successo. E da lì sono arrivati altri incarichi. E la mia esperienza nel teatro mi è tornata utile, come sensazione drammatica da dare a un luogo.

E poi sei diventato “Lee Broom”.

Ho aperto la mia attività di interior con Maki, ci chiamavamo “Makilee Design”, abbiamo disegnato bar per quattro anni, poi Maki, che è giapponese, è tornata a casa. Ho deciso di continuare da solo, e ho fondato “Lee Broom”. Ho iniziato con una prima collezione di mobili antichi combinati con luci al neon (foto sotto). Avevo trovato un produttore per i neon e dall’altra parte qualche pezzo vintage che ho rielaborato. Ho iniziato subito in proprio, volevo partire con il piede giusto fin dall’inizio, da subito poter fare a modo mio.

"A modo tuo", che è il risultato delle tue poliedriche esperienze.

Penso che il mix delle diverse discipline, in particolare il mio passato nel teatro, influenzino nel subconscio il mio lavoro, soprattutto quando si tratta di metterlo in mostra, come dicevo. Sono ancora molto appassionato di moda, anche se non sono più in quel settore, ma mi piace osservare cosa e come la gente veste. E mi piace usare la tradizione con nuovi punti di vista, trovare un compresso tra modernismo e nostalgia, reimmaginare silhouette e giocare con le forme.

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Per finire, torniamo all’inizio, alla nuova collezione di lampade “Observatory”, che da Milano porti a NY e poi in giro negli Stati Uniti e Canada fino a metà giugno, da Boston a Dallas, Vancouver e Los Angeles.

L’illuminazione è parte fondamentale di un interno. In una casa hai tre acquisti importanti: il divano, il letto e le luci, perché devi poter vedere, poter dormire e sederti. Tutto il resto, è un lusso. Ma una lampada è essenziale, ed è un campo dove si può sperimentare più che nei mobili. Il divano deve essere carino all’occhio, comodo e pratico, il letto solo pratico, una luce deve essere funzionale ma può anche essere unica, un pezzo da “conversazione”.

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Il tema della collezione: Osservatorio.

Le forme su cui stavo lavorando hanno iniziato ad avere qualità celestiali. Qualche mese fa poi sono andato in campagna a trovare un mio amico, a Costwolds. Io sono cresciuto sempre in città e a Londra non vedi quasi mai le stelle, ma quella sera, seduti al cielo aperto con una buona bottiglia di vino, abbiamo ammirato le stelle, è stato stupendo e credo che quella sensazione mi è rimasta e mi ha influenzato.

Observatory

Lee Broom store, 34 Green Street, SoHo, NYC

18-21 maggio 2018

leebroom.com